Raccolgo i vetri del mare e plasmo una rosa.
Dispongo i vetri del mare e creo una fila.
Ascolto i vetri del mare ed intreccio una storia.
Riunisco i vetri del mare e ne scrivo una prece.

Li adagio dolcemente e mi domando donde provengano.
Li osservo con dovizia ed ammiro ogni curva.
Li immergo con amore fra le onde perché tornino in vita.

E mentre asciugano sotto il torrido sole, fra granelli di sabbia, li scruto e mi domando se abbian assistito a baccanali, balli di corte, sontuosi ricevimenti o cos’altro.
Da lucidi a opachi, il sole li ha resi più tristi; li irroro verso la battigia ma paion celare mestizia.
“Lasciali lì, son stati forgiati senza spine, male non fanno e vivranno per sempre”. È Nettuno che parla.

Una cosa ora conosco: raccontano vite diverse ed il mare li ha levigati per scongiurar spiacevole danno.
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T’imploro dio delle acque, leviga altresì l’esser umano!
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